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“La recidiva è strettamente legata alla qualità del lavoro riabilitativo. Il percorso di reinserimento sociale e di consapevolezza di sé e del proprio vissuto richiede un serio rafforzamento delle piante organiche degli operatori penitenziari per garantire interventi personalizzati. A Cagliari-Uta sette educatori, ridotti all’osso nonostante le oggettive necessità, devono curare attualmente circa 600 detenuti, in prospettiva però considerando la capienza tollerabile potrebbero diventare addirittura 950. Che cosa possono garantire sette funzionari affinché il recupero non sia soltanto una parola vuota?”. Lo chiede Maria Grazia Caligaris (foto), presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sostenendo che “non bastano più le dichiarazioni d’intenti per rendere gli Istituti di Pena, in sintonia con la Costituzione e la legge sull’Ordinamento Penitenziario, in grado di restituire alla società persone pienamente riabilitate. Occorrono subito interventi concreti e mirati”.
“Chi sconta una pena – afferma – è lasciato spesso da solo perché le persone che dovrebbero occuparsi di lui sono troppo poche e/o occupate in mansioni burocratiche. Ciò comporta un grave danno sociale in quanto la recidiva, cioè il ritorno dietro le sbarre per lo stesso o analogo reato dopo un periodo di libertà, raggiunge livelli stratosferici (oltre l’80%)”.
“Nel suo complesso – aggiunge la presidente di SDR – il sistema è inadeguato al compito se si considera che il numero degli Agenti della Polizia Penitenziaria non è sufficiente per le nuove strutture detentive le cui dimensioni e spazi si sono moltiplicati. Senza contare che i Tribunali di Sorveglianza, gravati da un sempre crescente carico di lavoro a causa di norme particolarmente farraginose, non hanno sufficienti Magistrati, Cancellieri e Assistenti Sociali per sbrigare le pratiche. A Cagliari purtroppo molti detenuti hanno dovuto aspettare almeno due anni per poter vedere loro attribuita la liberazione anticipata per buona condotta e diverse settimane per un permesso premio o di necessità”.
“La carenza più grave tuttavia è quella relativa ai sex offender. Si tratta infatti di detenuti particolarmente esposti e con una tipologia di reato che genera allarme sociale. Recuperare questi individui è un imperativo, ma ciò può avvenire solo se lo Stato investe in formazione. Servono équipes in grado di intervenire sui differenti aspetti della personalità dell’individuo. Una cella non è sufficiente. Neppure la perdita della libertà per dieci o venti anni o l’isolamento. Il sistema penitenziario può diventare uno strumento efficiente solo con investimenti adeguati e figure professionali che – conclude Caligaris – possano operare formulando soluzioni idonee, caso per caso”.