Carcere di Uta, una storia senza fine: l’apertura slitta ancora

A dicembre gli operai avevano protestato: “Per finire i lavori qui ci vuole ancora un anno”


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Quella del penitenziario di Uta è una storia senza fine. Una vicenda che sembra non arrivare ad un punto, per la quale anche i lavoratori stessi della struttura carceraria hanno protestato fino allo scorso dicembre. Le prime lettere di licenziamento erano arrivate proprio alla fine dell’anno, riaccendendo la protesta: gli operai avevano dato vita ad un nuovo sciopero davanti al mega cantiere per la struttura di cinque piani.

Ma ecco a che punto sono i lavori: il corpo principale dell’edificio è stato temrinato finito, sono anche stati montati monitor e sistemi d’allarme, da terminare, invece, restano la caserma degli agenti penitenziari e il ramo femminile. Oltre al problema degli operai che non pensavano di finire in strada poco prima di Natale, c’è anche quello dei tempi: il carcere doveva aprire nel 2009, poi nel 2010, ancora nel settembre 2013 ed oggi è stato annunciato un nuovo slittamento.

Con il cantiere ancora aperto il nuovo “Villaggio penitenziario”, formato da diversi edifici e arricchito da vaste aeree a verde, in parte da utilizzare per l’orticoltura, non sarebbe ancora agibile neanche per accogliere i detenuti e neppure il personale delle aree amministrativa, educativa e sanitaria. Quest’ultima conta oltre un centinaio di persone. Risulterebbe infatti impossibile garantire la sicurezza e l’efficienza del servizio. Insomma, l’attesa non finisce e, attualmente, nel carcere cagliaritano sono ospitati 435 detenuti su 420 di capienza regolamentare.

Ma ecco l’annuncio di oggi: “L’apertura del Villaggio Penitenziario di Uta, la desolata area in cui sta sorgendo il nuovo carcere di Cagliari, è destinata ancora una volta a slittare. L’inaugurazione della mega struttura, articolata su più edifici a cinque piani, non avverrà prima di agosto/settembre”. Lo ha annunciato la presidente di Socialismo Diritti Riforme Maria Grazia Caligaris nel corso dell’assemblea ordinaria dei soci che ha celebrato il quinto anno di attività.
“Sembra impossibile – ha detto – ma dopo quasi otto anni dall’avvio dei lavori la storia infinita di Uta entrerà nei misteri italiani per l’incredibile lungaggine nella realizzazione dei lavori. Abbiamo chiesto più volte un’indagine parlamentare ma la proposta è caduta nel vuoto e adesso che gli edifici sono stati consegnati al Ministero della Giustizia stanno emergendo le criticità con l’acqua nei sotterranei, i muri scrostati negli edifici costruiti per primi, l’inadeguatezza dei locali riservati agli amministrativi e agli educatori ed è stato perfino necessario modificare la Cappella del carcere perché mancavano i sedili avendo predisposto solo una gradinata in pietra”.
“E’ certo quindi che buona parte del 2014 trascorrerà – ha precisato la presidente di SdR – senza che si possa pronunciare la parola fine anche se attualmente alcune squadre di detenuti sono impegnate nell’allestimento degli ambienti e gli Agenti di Polizia Penitenziaria effettuano i turni per la sicurezza. Nonostante l’alleggerimento di Buoncammino, in cui si trovano reclusi 357 detenuti, dopo il trasferimento di una fetta consistente dei ristretti in regime di Alta Sicurezza parte dei quali sono stati collocati in altre strutture regionali, l’attuazione del trasloco avverrà solo quando il Dipartimento avrà garantito l’agibilità di tutti gli edifici”.
Riferendosi poi ai colloqui con i cittadini privati della libertà di Buoncammino, effettuati con il contributo del segretario Gianni Massa e della vice Presidente Elisa Montanari, ha messo l’accento sulle difficoltà del trasferimento a Uta. “Anche quest’anno abbiamo garantito una presenza costante con appuntamenti bisettimanali che ci hanno permesso di effettuare circa 500 contatti e raggiungere schede operative per 400 reclusi. Ovviamente l’accesso al carcere di Uta, così dispersivo oltre che distante, limiterà notevolmente la presenza e costringerà i soci di SdR a un tour de force soprattutto per coloro che si occupano dei familiari. Disagi che ricadranno anche sull’attività delle associazioni di volontariato come Caritas e Orsac ”.

 

 


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