Call center come fabbriche dell’inizio del secolo scorso: nei guai due società cagliaritane

. Ai titolari delle due società cagliaritane è stato contestato l’utilizzo illegittimo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che in realtà mascheravano veri e propri rapporti di lavoro subordinato relativi a 128 persone, gestiti peraltro secondo condizioni e modalità talmente irrispettose dei diritti minimi dei lavoratori da renderli paragonabili a quelli in essere in Europa ai primi del 1900


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Al termine di un lungo e scrupoloso lavoro di indagine, l’Ispettorato del Lavoro di Cagliari – Oristano ha notificato nei giorni scorsi un verbale di accertamento nei confronti di due società che svolgevano attività di call center nel capoluogo per conto di una importante società nazionale fornitrice di energia elettrica.

Ai titolari delle due società cagliaritane è stato contestato l’utilizzo illegittimo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che in realtà mascheravano veri e propri rapporti di lavoro subordinato relativi a 128 persone, gestiti peraltro secondo condizioni e modalità talmente irrispettose dei diritti minimi dei lavoratori da renderli paragonabili a quelli in essere in Europa ai primi del 1900.

In particolare, in aperto contrasto con la forma contrattuale utilizzata, sono stati accertati da parte degli ispettori: l’esercizio di uno stringente potere direttivo nei confronti dei dipendenti, che si manifestava attraverso minuziose indicazioni sulla gestione della telefonata e l’imposizione di specifiche frasi da utilizzare con il cliente, con conseguenti rimproveri verbali nei confronti degli operatori che si discostavano; l’imposizione di un orario di lavoro rigido e immodificabile; l’esercizio del potere disciplinare, che poteva giungere fino all’allontanamento dei lavoratori, senza alcuna tutela, e con la richiesta di firmare lettere di dimissioni in bianco all’atto dell’assunzione; il calcolo delle retribuzioni sulla base di compensi orari pari ad euro 3,78 per ogni ora di lavoro, con addebito in detrazione delle ore di assenza o di mancato lavoro.

Peraltro, alla scadenza dei contratti, molti lavoratori non erano stati retribuiti integralmente. Erano inoltre previsti dei bonus, i quali, di fatto, non venivano mai corrisposti. È stato anche accertato che, per quasi un anno, le due società non avevano nemmeno provveduto a trasmettere all’Inps le denunce contributive mensili.

È emerso inoltre che una delle persone apparentemente assunta come dipendente, di fatto operava con i poteri organizzativi, gestionali e disciplinari tipici del titolare di una attività di impresa. Le testimonianze circostanziate e concordanti dei lavoratori hanno fatto emergere come tale socia occulta decidesse, in completa autonomia e senza alcun superiore gerarchico, le assunzioni e le cessazioni dei dipendenti, i turni e gli orari di lavoro, le modalità di pagamento delle retribuzioni, effettuasse i colloqui di lavoro con gli aspiranti collaboratori ed esercitasse un potere disciplinare che si è spinto finanche al licenziamento in tronco di alcuni lavoratori, sulla base di decisioni personali, pretestuose e immotivate. Le numerose testimonianze raccontano di come la donna effettuasse continui richiami disciplinari verbali nei confronti dei collaboratori, con l’utilizzo di frasi irrispettose ed umilianti.

Ulteriore elemento dissimulatorio dell’effettivo rapporto tra la socia occulta e le due società è stato rinvenuto nell’importo del suo compenso, notevolmente più elevato rispetto a quello di tutti gli altri collaboratori.

Per queste ragioni l’Ispettorato sta valutando anche l’ipotesi di una denuncia alla Procura della Repubblica per il reato di caporalato. Complessivamente, sono state comminate sanzioni amministrative a carico delle due società per 128 lavoratori pari ad euro 109.333,68 in misura ridotta, con un recupero di contributi omessi/evasi da versare nelle casse dell’INPS pari a euro 497.851.