Dimissioni firmate in bianco al momento delle assunzioni. Una “direttrice” inflessibile pronta a bacchettare e rimproverare, giovani lavoratori cagliaritani trattati come schiavi in due call center. Le sedi che cambiavano continuamente: chi sono e come hanno vissuto davvero, nel terrore professionale, questi ragazzi? Vivevano sotto ricatto, con condizioni lavorative che definire precarie sarebbe definire un eufemismo, Sino al brillante blitz dell’ispettorato del lavoro, reso noto oggi, che ha fatto emergere un quadro allarmante, sconcertante. Con la responsabile che rischia una denuncia per caporalato. Cosa è successo nei dettagli? Lo spiega proprio in una nota l’Ispettorato.
Ai titolari delle due società cagliaritane è stato contestato l’utilizzo illegittimo di contratti di
collaborazione coordinata e continuativa che in realtà mascheravano veri e propri rapporti di
lavoro subordinato relativi a 128 persone, gestiti peraltro secondo condizioni e modalità talmente
irrispettose dei diritti minimi dei lavoratori da renderli paragonabili a quelli in essere in Europa ai
In particolare, in aperto contrasto con la forma contrattuale utilizzata, sono stati accertati da parte
●l’esercizio di uno stringente potere direttivo nei confronti dei dipendenti, che si manifestava
attraverso minuziose indicazioni sulla gestione della telefonata e l’imposizione di specifiche
frasi da utilizzare con il cliente, con conseguenti rimproveri verbali nei confronti degli
operatori che si discostavano;
●l’imposizione di un orario di lavoro rigido e immodificabile;
●l’esercizio del potere disciplinare, che poteva giungere fino all’allontanamento dei
lavoratori, senza alcuna tutela, e con la richiesta di firmare lettere di dimissioni in bianco
all’atto dell’assunzione;
●il calcolo delle retribuzioni sulla base di compensi orari pari ad euro 3,78 per ogni ora di
lavoro, con addebito in detrazione delle ore di assenza o di mancato lavoro.
Peraltro, alla scadenza dei contratti, molti lavoratori non erano stati retribuiti integralmente. Erano
inoltre previsti dei bonus, i quali, di fatto, non venivano mai corrisposti. È stato anche accertato
che, per quasi un anno, le due società non avevano nemmeno provveduto a trasmettere all’Inps le
denunce contributive mensili.
È emerso inoltre che una delle persone apparentemente assunta come dipendente, di fatto
operava con i poteri organizzativi, gestionali e disciplinari tipici del titolare di una attività di
impresa. Le testimonianze circostanziate e concordanti dei lavoratori hanno fatto emergere come
tale socia occulta decidesse, in completa autonomia e senza alcun superiore gerarchico, le
assunzioni e le cessazioni dei dipendenti, i turni e gli orari di lavoro, le modalità di pagamento delle
retribuzioni, effettuasse i colloqui di lavoro con gli aspiranti collaboratori ed esercitasse un potere
disciplinare che si è spinto finanche al licenziamento in tronco di alcuni lavoratori, sulla base di
decisioni personali, pretestuose e immotivate. Le numerose testimonianze raccontano di come la
donna effettuasse continui richiami disciplinari verbali nei confronti dei collaboratori, con l’utilizzo
di frasi irrispettose ed umilianti.
Ulteriore elemento dissimulatorio dell’effettivo rapporto tra la socia occulta e le due società è stato
rinvenuto nell’importo del suo compenso, notevolmente più elevato rispetto a quello di tutti gli
Per queste ragioni l’Ispettorato sta valutando anche l’ipotesi di una denuncia alla Procura della
Repubblica per il reato di caporalato previsto dall’articolo 603 bis c.p.
Complessivamente, sono state comminate sanzioni amministrative a carico delle due società per n.
128 lavoratori pari ad euro 109.333,68 in misura ridotta, con un recupero di contributi
omessi/evasi da versare nelle casse dell’INPS pari a euro 497.851.