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“Attrus annus mellus”. Tre parole che mai, come in questo 2020, rappresentano una profonda preghiera. Fatta a Sant’Efisio, ovviamente: il martire guerriero ritorna a Stampace dopo quattro ore esatte. Sono le 9:22 quando, issato su un pick-up della Croce Rossa, lascia il rione storico cagliaritano per arrivare sino a Nora, dove si è svolta la messa celebrata dall’arcivescovo Giuseppe Baturi, e sono le 13:22 quando entra nel piccolo sagrato della chiesa stampacina. Nel tragitto, mille emozioni e preghiere: nessuna processione festosa, sulla Ss 195 qualche persona si posiziona ai bordi della strada e lancia dei petali. Sia all’andata sia al ritorno, a Stampace piovono petali di rose dai balconi, ma anche lacrime. La festa che non è festa ma è solo silenziosa preghiera, in molti casi sussurrata. Nel Largo Carlo Felice due donne tengono strette le bandiere dell’Italia e dei Quattro Morì, entrambe listate a lutto, proprio come i polsini e il fiocco dietro il collo della statua.
Il voto viene sciolto come da tradizione: se Efisio non è stato fermato da una Cagliari devastata dalle bombe nel 1943, sarebbe stato difficile che potesse farsi fermare da un virus, per quanto pericoloso e classificato come “pandemia”. La formula finale è, appunto, la solita: “Attrus annus mellus”. Tre parole ripetute, seppur a distanza di sicurezza, da un’intera Isola.