Di Paolo Rapeanu
La Zona franca doganale del porto del capoluogo sardo “galleggia” in un limbo che sembra non avere fine. Un consiglio d’amministrazione senza un capo ufficiale, denari congelati e due enti – Autorità portuale e Cacip – che non riuscirebbero a trovare un accordo. Piergiorgio Massidda, ex numero uno dell’Authority, a giugno 2017 si dimette dalla Cagliari Free Zone. Otto mesi più tardi, non c’è ancora il sostituto: un impasse che provoca effetti a catena. “La possibilità di istituire la Zona franca doganale a Cagliari esiste dal 2013. Una zona dove l’Iva viene sospesa o pagata dopo sei mesi, chi lavora è un extra frontaliero. Ci sono grandi finanziamenti pronti ad arrivare, ma è tutto bloccato”, attacca Massidd, ricordando che “nessun membro del cda, me compreso, prende un solo euro”.
Le colpe? A detta del presidente dimissionario sono tante, e riguardano più realtà: “Autorità portuale e Cacip sono due società, divise al cinquanta per cento, mai vista una situazione simile. Il Comune non dà risposte sulla ristrutturazione di due palazzine richieste dalla Commissione europea per il controllo del territorio e i soldi della Regione sono fermi per colpa di una burocrazia farraginosa. C’è addirittura il rischio che l’intero Porto Canale debba essere distrutto perché costruito senza le carte in regola”, osserva Massidda, “si tratta di problemi che devono essere risolti politicamente. L’urgenza è massima, il mondo corre e non aspetta i nostri tempi, i sardi senza lavoro soffrono e la Zona franca doganale può dare respiro a tante famiglie finite, da anni, nel tunnel odioso della disoccupazione”.