Cagliari: Mendelssohn, Dvořák, Sibelius e la nuova composizione di Cosmi in prima esecuzione

Gérard Korsten dirige, il 7-8 giugno, Mendelssohn, Dvořák, Sibelius e la nuova composizione di Gabriele Cosmi in prima esecuzione


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La Stagione concertistica 2019 del Teatro Lirico di Cagliari prosegue, venerdì 7 giugno alle 20.30 (turno A) e sabato 8 giugno alle 19 (turno B), con l’ottavo appuntamento che prevede l’esibizione di entrambi i complessi artistici stabili, Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari, diretti da Gérard Korsten, apprezzata presenza nelle stagioni musicali cagliaritane. Il maestro del coro è Donato Sivo.

 

Il programma musicale delle due serate propone all’ascolto del pubblico: Quarta Sinfonia in La maggiore “Italiana” op. 90 di Felix Mendelssohn-Bartholdy; Salmo 149 per coro e orchestra op. 79 di Antonín Dvořák; Quinta Sinfonia in Mi bemolle maggiore op. 82 di Jean Sibelius. Nella prima parte della serata (dopo l’“Italiana”), come consuetudine annuale, appuntamento con una nuova composizione su commissione del Teatro Lirico, in prima esecuzione assoluta, Edipo ha lasciato Tebe, per coro e orchestra che, questa volta, è firmata da Gabriele Cosmi, compositore sardo trentenne (è nato ad Oristano nel 1988), diplomato a Cagliari e apprezzato ormai in tutto il mondo. La sua musica è stata eseguita infatti a Milano, Roma, Venezia e Torino, ma anche a Los Angeles, Berlino, Ginevra, Lisbona e Bruxelles.

 

«Il nuovo lavoro composto per il Teatro Lirico di Cagliari è la seconda composizione di un ciclo dedicato alla musica vocale ed al mito, iniziato con Io non sono Medea, scritto nel 2018 per il Teatro La Fenice di Venezia. La composizione è ispirata all’Edipo Re di Sofocle; la storia è nota: Edipo è figlio di Laio, re di Tebe, e della sua sposa Giocasta. L’oracolo di Delfi rivela a Laio che il figlio avuto da Giocasta, divenuto grande, lo ucciderà. Laio allora consegna Edipo a un pastore perché lo abbandoni sulla vetta del monte Citerone. Edipo viene trovato e cresciuto da Polibo, re di Corinto, e da sua moglie Peribea. Divenuto adolescente, Edipo viene a sapere da un ospite della casa che lui non è l’erede al trono. Si rivolge all’oracolo di Delfi. Questi gli predice che ucciderà suo padre e sposerà la madre. Per non far avverare la profezia, Edipo abbandona Corinto e si dirige verso Tebe. Lungo la strada incontra un carro guidato da un uomo in età matura che gli ingiunge di lasciargli il passo: ne nasce un violento litigio, al termine del quale Edipo uccide il vecchio, senza sapere che in realtà si tratta del padre Laio. Si è realizzata la prima parte della profezia. Nei pressi di Tebe, Edipo incontra la Sfinge, un mostro col volto di donna, il corpo di leone e le ali d’aquila, che affligge la città uccidendo tutti quelli che non sanno rispondere ai suoi enigmi. Edipo sconfigge la Sfinge ed essa, rabbiosa, si getta dalla rupe e muore. I Tebani accolgono Edipo come un eroe e un liberatore e poiché il loro re è stato ucciso (si tratta di Laio), il reggente Creonte gli offre il trono della città e quindi la mano di Giocasta, vedova del re ucciso (e madre di Edipo). Si è realizzata la seconda parte della profezia. Edipo regna per quindici anni, facendo prosperare il paese; genera due maschi (Eteocle e Polinice) e due femmine (Antigone e Ismene). Improvvisamene a Tebe scoppia una terribile pestilenza. Edipo ricorre all’oracolo, che risponde che se si vuole la fine del contagio, si deve cacciare dalla città l’uccisore di Laio. Edipo interroga l’indovino Tiresia per identificare il colpevole. Tiresia svela a Edipo che il colpevole è proprio lui, che tanti anni prima aveva ucciso sulla strada il re Laio, suo padre, e poi ne aveva sposato la vedova, sua madre. Inizialmente Edipo rifiuta le parole dell’indovino Tiresia, immaginando un complotto ai propri danni tra Creonte e Tiresia per privarlo del potere. Il successivo interrogatorio dell’unico servo sopravvissuto alla strage in cui aveva perso la vita Laio, e poi del pastore incaricato di ucciderlo quand’era ancora neonato, convincono Edipo dell’orrenda realtà. Giocasta, la moglie-madre, intuisce tutto un attimo prima del marito-figlio, e s’impicca. Edipo si acceca con la fibbia del vestito di lei e si avvia in volontario esilio. Nonostante i suoi sforzi, la sua moralità, la sua sete di verità, il protagonista rotola inesorabilmente su un piano inclinato dal destino. Lo scontro tra la dimensione umana e sociale in contrapposizione ad una dimensione divina, magica, virtuale ed incontrollabile è il fulcro della tragedia. La mano invisibile che agita i fili ai quali Edipo è appeso sembrano essere gli stessi tra i quali noi quotidianamente ci attorcigliamo: mercati finanziari, derivati bancari, realtà virtuali, l’invisibilità del potere; giganteschi apparati che influenzano la nostra vita dei quali ignoriamo, o quasi, l’esistenza e dei quali il nostro sguardo miope restituisce una visione dai contorni sfocati e confusi. Persino nel nostro piccolo quotidiano, quante volte proviamo l’odiosa sensazione di sentirci trascinati da un flusso invisibile di cui non ci sentiamo responsabili; l’odiosa sensazione di sentirci un effetto e non una causa. Edipo ha lasciato Tebe secoli fa: è giunto sino a noi.» (Gabriele Cosmi)


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