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La vittoria dell’Atalanta di ieri ha definitivamente tolto ogni speranza ai tifosi rossoblù di prolungare la permanenza in serie A per un altro anno.
Ok, è vero che è giusto crederci e che, finché la matematica non condanna la squadra di Zdenek Zeman, tutto è possibile, però, a questo punto, è diventato veramente difficile credere al miracolo, quando i nerazzurri di Edy Reja sono a otto punti dai rossoblù (facciamo nove, considerati gli scontri diretti a favore dei bergamaschi) e il Cagliari non è nel suo momento migliore già da un bel po’.
Allora, a questo punto, è necessario prendere atto della situazione, bisogna stringersi intorno alla squadra, e chiedere ai calciatori di fare ai tifosi un piccolo regalo: no, non mantenere la serie A (anche se quello sarebbe davvero un miracolo sportivo), ma renderci orgogliosi, cosa che finora non è stata fatta, di loro e della maglia che portano, di quei colori che la maggior parte di questi giocatori ha solo sulle casacche mentre noi li abbiamo impressi nel cuore.
Questa squadra, in serie A da undici anni, deve riuscire a riportare un sorriso a chi nel Cagliari trova un motivo per sfuggire alle delusioni della vita, di qualunque tipo, a coloro che ogni due settimane fanno i sacrifici per andare a vedere la propria squadra del cuore allo stadio e a coloro che sono lontani ma seguono il Cagliari da ogni parte del mondo.
Magari non servirà a salvarsi ma, almeno, si retrocederà con onore.
Ed è ancora più brutto il fatto che la consapevolezza dell’imminente, probabile, serie B sia arrivata nel giorno in cui, nei novantacinque lunghi anni di vita del Cagliari, si celebra il punto più alto: quel 12 aprile che, nella storia dell’Isola, ha rappresentato un’occasione di riscatto, di fronte alle superpotenze del calcio ma, soprattutto, davanti all’Italia intera.