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Il semolino, mangiato poche ore prima di morire, l’uomo misterioso che l’ha fatta salire su un’auto blu, il foulard e il portamonete a decine di metri di distanza dal punto in cui è stato trovato il corpo, nel canyon di Tuvixeddu, l’assenza di fratture, le telefonate di minacce successive al ritrovamento del cadavere. Sono solo alcune delle incongruenze e dei fatti che hanno spinto i parenti di Manuela Murgia, a quasi quattro mesi di distanza dalla prima uscita giornalistica in assoluto del caso, qui su Casteddu Online, ad andare a “Chi L’Ha Visto?”, su Rai 3. E il mistero della giovane trovata morta il 4 febbraio 1995 in un punto di Cagliari dove non era mai stata diventa di dominio nazionale. Nel programma di Rai 3 condotto da Federica Sciarelli erano presenti le due sorelle di Manuela, Elisabetta e Anna, e il fratello Gioele. C’è stato spazio anche per un brevissimo spezzone di un filmato del 1995 nel quale un amico di Manuela diceva, sempre a “Chi L’Ha Visto?”, di “non credere al suicidio o a una caduta accidentale. Avevo visto Manuela due giorni prima della morte, rideva e scherzava come sempre”. Con gli atti delle indagini svolte all’epoca tra le mani, i parenti della sedicenne hanno ricordato le sue ultime ore, dalla telefonata ricevuta verso l’ora di pranzo del 4 febbraio 1995 all’uscita frettolosa di casa, passando anche per alcune novità. È stata infatti la madrina a notare l’auto blu, guidata da un uomo “che non era l’ex fidanzato di Manuela”, quindi qualcuno rimasto sinora un mister X, a bordo della quale è salita la giovane. “Si era messa i capelli davanti al viso per nascondersi”, racconta Elisabetta. Molto strano, visto che doveva trattarsi di un’uscita rapida: “Non aveva il permesso di uscire, quella mattina. Sul tavolo c’erano il cordless, accanto rossetto e un fazzoletto”, aggiunte l’altra sorella, Anna. Quattro ore prima di morire la sedicenne mangia un semolino, come scoperto dall’autopsia: dove, con chi, offerto da chi? Non si sa.
Ciò che è certo è che è morta, stando alle risultanze del medico legale, tra le diciotto e le venti dello stesso giorno in cui è scomparsa. Il suo cadavere è stato trovato il 5 febbraio, il giorno dopo: una telefonata anonima in questura segnala la presenza di un corpo in fondo a un canyon di Tuvixeddu, quello davanti alla via Is Maglias: “Nessuna frattura sul corpo, era di buona famiglia e aveva tanti progetti”, ricordano ancora le due sorelle e il fratello. “Di sicuro quando è uscita di casa non sapeva che stava andando a morire. Nessuno, dal 1995 a oggi, ha mai creduto al suicidio, nessuno di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscere Manuela”. Che, nell’ultima settimana di vita, era però diventata strana: “Piangeva spesso, non mi confidava sino in fondo che cosa avesse. Il suo umore era cambiato”, ricorda Anna. Altre incongruenze: portamonete e foulard ritrovati vicino al cancello del sentiero sotto il canyon, molto distanti dal cadavere della ragazzina. E poi, dopo la morte, le telefonate: “Telefonate anonime, tante, ricevute a casa. Molte di minacce, fatte da persone che ci hanno invitato a lasciare perdere qualunque indagine e che ci hanno fatto capire che sapevano quando eravamo in casa e cosa stessimo facendo. In più, anche telefonate di sciacalli”. Uno dei legali che sta studiando tutte le carte e mettendo insieme i tasselli della vicenda per fare in modo che dal tribunale concedano una riapertura del caso é Bachisio Mele: “Mi chiedo come mai non sia stato richiesto il tabulato delle chiamate in entrata alla famiglia Murgia. Una ragazza che si imbelletta prima di uscire non deve andare a suicidarsi, in quel posto, poi, è difficile. L’anonimo che ha chiamato il giorno dopo è chiaro che qualcosa la sa. Non si va in quei posti a passeggiare. Qualcuno ha già parlato”, avvisa Mele, “altri parleranno”. I parenti sono più che certi: “Nessun suicidio, Manuela è stata aggredita e uccisa, ma perchè? Perche l’hanno ridotta come un sacco di spazzatura e buttata? Tutto ciò fa molo male”. Un dolore, quasi trentennale, per la famiglia della sedicenne, che tutti si augurano possa presto finire: ma ormai è chiaro, terminerà solo quando sarà “fatta giustizia”. Che, per i familiari di Manuela, significa solo una cosa: trovare e assicurare alla giustizia chi l’ha uccisa in un ventoso e leggermente piovoso tardo pomeriggio di febbraio di ventinove anni fa.