di Paolo Rapeanu
La Cagliari che cambia si può raccontare attraverso una “cartolina video” di un giorno qualunque sotto i portici di via Roma. Ventidue gli stranieri contati durante una semplice passeggiata dall’angolo col Largo Carlo Felice e il palazzo del Consiglio regionale. Oltre ai cagliaritani e ai turisti, ci sono anche loro: i “nuovi” cagliaritani. Cioè, i tanti stranieri che vivono e lavorano in città. Il rione portuale della Marina è la loro “casa” principale, già da anni c’è un fiorire di quella multiculturalità che, pian piano, sta vincendo contro la paura e la diffidenza. Perché, se è vero che anche nel capoluogo sardo vivono stranieri irregolari, c’è tutto un “popolo” di regolari, arrivati da lontano per costruirsi un futuro nella città al centro del Mediterraneo. I senegalesi sono una parte consistente, e sciamano tra i portici e le stradine piene di ristoranti e negozietti con le buste della spesa. Idem per i bengalesi, poco più di un migliaio in tutta la città ma già ampiamente integrati.
E poi ci sono loro, le nuove generazioni: come due ragazzi filippini che si sfilano dalle spalle gli zaini pieni di libri di scuola e, prima di tornare a casa per studiare, si bevono un drink in uno dei bar storici di via Roma. In molti casi parlano perfettamente l’italiano, c’è pure chi conosce parole e frasi cento per cento sarde. “Ajò, movirindi che è tardi”, quasi urla una mamma filippina al proprio figlio. E, in un momento, tutte le differenze scompaiono davanti al lungomare del porto.