Una mattina di “ordinario” caos nello spiazzo esterno del Brotzu. Il gazebo davanti al pronto soccorso ancora blindato accoglie una quindicina di persone che, chi da poche e chi da molte ore, attende di essere visitato o di sapere come sta il proprio caro che è riuscito a superare lo scoglio del triage. Sole, caldo e soprattutto la polvere, dovuta a dei lavori in corso nell’area dove si parcheggiano le ambulanze. Alle 11 di un mercoledì di maggio inoltrato è possibile assistere a scene che, probabilmente, aiutano a capire in quale situazione si trovi la sanità sarda: non buona. Pronto soccorso attivo al Brotzu, l’alternativa è il Policlinico. Un ragazzo attende di essere visitato e si regge a fatica sulle stampelle: “Ho il piede sinistro ingessato proprio qui da loro, ero caduto. Mi fa molto male, sto aspettando che mi chiamino. Arrivo da Seui, mi ha accompagnato un amico”. Una giovane mamma di Capoterra, 36 anni, attende notizie da ieri sera dalla figlia diciottenne: “Portata qui su consiglio della guardia medica per una probabile appendicite. Ho trascorso la notte dentro il pronto soccorso”, dice, quasi sgranando gli occhi mentre assiste alla misurazione della pressione, effettuata da due infermieri del Brotzu su un’anziana sdraiata su una delle panchine. Un’altra mamma si fa avanti e chiede che facciano lo stesso anche alla figlia: chiesto, fatto. Sempre all’aperto.
Entrare al pronto soccorso è un’impresa, le attese non saranno brevi: “Stiamo facendo entrare i pazienti di ieri notte. Noi non ce la possiamo fare, ve lo dico perchè ci sono i medici di famiglia”, spiega, con tutta la pazienza del mondo, un’infermiera. “Alcune cose le fanno loro, se decidono che dovete venire qui lo scrivono”. Non sente, forse, a poca distanza, un’altra donna che, a mezza voce, dice “se ne stanno lavando le mani”. E qualcuno replica: “Il medico di famiglia mi ha detto di venire all’ospedale”. Nulla però si risolve con i ping pong verbali: “Sappiamo che loro non hanno colpe, fanno il possibile, sono soli, hanno tagliato tutto”, riconosce la giovane madre capoterrese mentre guarda per l’ennesima volta lo schermo dello smartphone, sperando di scorgere un messaggio dalla figlia: “Dovranno sottoporla a degli esami”. Poi, forse, uscirà. O scatterà il ricovero. Al netto di tutto, chi deve fare qualcosa? La Regione, l’assessorato alla Sanità? “Sicuramente, so solo che non so quanti siano dentro. Mia figlia ha dovuto attendere dieci ore”.