Bollette pazze e crisi, i commercianti cagliaritani: “A 50 anni chiudiamo o sopravviviamo con altri lavoretti”

Luce alle stelle e affari in picchiata, i conti non tornano più e molti si arrendono o sono costretti a lavorare quasi 24 ore per portare il pane a casa. Giorgio Ibba: “Chiudo il negozio di abbigliamento, spero di affittarlo e dopo 35 anni farò altro: non voglio mangiarmi tutti i risparmi”. Marco, ristoratore: “Due bollette, 5mila euro pagati: stipendi in fumo, mi sto arrangiando facendo trasporti col mio furgoncino. Potevo prendere la disoccupazione ma ho una dignità e una famiglia da sfamare”


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Ci sono le bollette pazze e la crisi, le casse sempre più vuote al pari dei portafogli. E i commercianti cagliaritani che, stremati da più di due anni di Covid, decidono di arrendersi o di reinventarsi anche a cinquant’anni, dopo decenni trascorsi a fare ogni giorno lo stesso lavoro, che non permette più di portare il pane a casa. C’è chi lo racconta apertamente e chi, invece, chiede di non apparire pubblicamente perchè, per sopravvivere e garantire almeno tre pasti al giorno alla famiglia, fa dei lavoretti in nero. Storie di una disperazione diventata, purtroppo, la normalità, sia nel capoluogo sardo sia nell’hinterland. Il virus, poi i prezzi aumentati ovunque anche per colpa della guerra tra Russia e Ucraina, e il colpo del ko rappresentato dalle centinaia di euro da sborsare per la corrente elettrica. Impossibile andare avanti. Giorgio Ibba fa il commerciante da quando aveva diciotto anni. Oggi ne ha 52 e, dopo aver gestito un negozio “a tempo” in via Mazzini da giugno a settembre, vendendo lo stesso abbigliamento che propone nel suo locale principale di Pirri, ha deciso di ritirarsi: “Chiudo il negozio, sto solo ultimando una svendita totale sperando di incassare qualcosa. Nei quattro mesi trascorsi a un passo dalla centralissima via Manno gli affari non sono andati bene”, racconta. “Ho bisogno di fermarmi e, se necessario, di fare altro: spero di riuscire ad affittare il negozio di Pirri, dopo trentacinque anni non vale più la pena investire soldi nel commercio. E, se nei prossimi mesi non dovessi riuscire a trovare nulla o ad affittare il locale, sto pensando di andarmene all’estero. Ho 52 anni e tanta voglia di fare”, conclude, iniziando almeno idealmente a salutare la sua città, Cagliari.

 

 

C’è poi chi ha deciso di investire nella ristorazione pochi mesi prima dell’inizio della pandemia, ma con le spalle ben coperte da un’esperienza trentennale. Marco ha 60 anni, la pensione è un miraggio e, strozzato da bollette alle stelle e tavoli quasi sempre vuoti nel suo locale di una città dell’hinterland, ha deciso di tentare la carta dei trasporti: “Ho comprato con tanti sacrifici un furgoncino, faccio traslochi, ho avvisato la mia cerchia di contatti su WhatsApp. Non voglio metterci la faccia perchè ho una dignità da conservare, sono sposato e ho un figlio da mantenere, so che è un lavoro in nero ma non ho alternative”, spiega. “Le ultime due bollette elettriche sono state paurose, in due mesi sono partiti cinquemila euro, senza contare l’affitto mensile. Il mio stipendio, e quello dei miei colleghi, se ne va, risucchiato dalle spese. I fornitori vogliono essere pagati sempre prima, in caso contrario non arriva la merce. E la gente non sta più andando con una certa frequenza al ristorante. Oggi sono stato nel Nuorese per un trasporto di legna, se serve arrivo in tutta la Sardegna. Avrò il tempo di tornare a casa per una doccia e poi fiondarmi al ristorante, sperando di avere qualche tavolo occupato. Avrei potuto licenziarmi, prendendo due anni di disoccupazione sicura: ma con una famiglia da mantenere e la vita sempre più cara, i soldi non sarebbero sicuramente bastati. Spero solo che la mia schiena regga e di non avere problemi di salute”.