“Baroni In Laguna”, appunti sul medioevo in un angolo d’Italia

Il medioevo nello stagno di Cabras se n’è andato in archivio solo nel 1960, lo ha cancellato la storia e la rivolta dei pescatori


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Un leggio esile, un microfono nudo sullo stelo di un’asta, come in una televisione degli anni sessanta. La sobrietà del nero e di una voce che racconta, vive, esplode accarezza e a volte si rompe nelle emozioni racchiuse nel testo.
È padrone della scena il testo, reso in adattamento asciutto che, pur contenendo tutti i significati, le analisi, i giudizi e le vicende che Giuseppe Fiori include nella sua inchiesta, privilegia, ricreandole davanti al pubblico, le atmosfere e le emozioni, le lacerazioni così abilmente descritte dall’autore.
Il fluire della voce dell’interprete, posta ad assoluto servizio del senso, si alterna, creando brevi squarci nel tempo, con le immagini autentiche di quegli anni e la voce un bambino d’allora, che raccontano il mondo dello stagno e della peschiera, la ricchezza dei padroni, la povertà dei pescatori e i soprusi degli “zeraccos”.
Dialogano e si fondono in modo essenziale con la storia di questa rivolta esplosa cinquant’anni fa, le note d’una chitarra elettrica che, utilizzando l’assoluta modernità dei suoni creati da una “pedal board “ si unisce alla “voce” aspra del sassofono nel racchiudere, sottolineare ed accrescere la forza dello spettacolo.

Note di regia
Mi sono imbattuto in questo racconto inchiesta di Giuseppe Fiori, francamente per caso, sette anni fa. Era compreso in molte delle scritture teatrali che accettai in quel periodo. Da subito la potenza di questo testo divenne un’attrazione. Fiori in “Baroni in Laguna” narra, con la potenza della sua scrittura, sceneggiando quasi le immagini del suo racconto, della rivolta dei pescatori di Cabras che nel 1960, sulla costa occidentale sarda, lottarono per l’abbattimento della piramide feudale che li schiacciava in uno stato di arretratezza e miseria. Conoscevo poco l’opera di Giuseppe Fiori, l’attrazione divenne lettura, poi ricerca, ed infine esigenza. Nel 2004 decisi di farlo diventare uno spettacolo teatrale. Il primo studio con gli allievi del laboratorio evidenziò la potenza e l’assoluto di quella storia, assoluto che è racchiuso nelle ultime righe scritte da Fiori nel suo libro «… fu chiaro quel giorno che la valanga avviatasi a rotolare a metà dell’estate ’60 continuava la sua terribile corsa e ogni giorno di più s’ingrossava, lanciata contro gli squilibri d’una organizzazione sociale d’altri tempi. Ed è questa la morale di una vicenda oggi ancora non conclusa. I tecnici insistono a studiare, a vedere, ad approfondire. I politici promettono, rinviano. E domani? La valanga rotola. Sarà fermata in tempo?»
Per questo ho ripreso, con questo spettacolo, il percorso iniziato sette anni fa verso la messa in scena teatrale del testo di Giuseppe Fiori sulla rivolta dei pescatori di Cabras.
Perché quella vicenda sospesa tra il presente e il passato, che esplose dal bisogno di conquistare futuro, tra le acque di uno stagno, tra le case basse in ladiri di Cabras e le sale dei palazzi di Oristano, ancora oggi dopo cinquant’anni, proietta il suo simbolo assoluto sul nostro presente, sulla nostra difficoltà, come quella di allora, stante così le cose, di pensare il futuro.
Stefano Ledda


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