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BAMBINI CHIUSI IN CASA. E’ GIUSTO FARLI USCIRE?
Dagli abusi sessuali alla fantasia di segregarli dentro casa per via della quarantena: continua l’odio nei confronti dei più piccoli.
Lettura: 2 minuti e mezzo.
PREMESSA
Non c’è mattina che non ripeta nella mia mente, “Meno usciamo, prima ne usciamo”, perché il concetto espresso dal Sindaco di Cagliari è assolutamente corretto, essendo ispirato al rispetto dei principi etici universali (E. Kant). E ritengo un’ottima iniziativa anche i manifesti per scoraggiare le passeggiate, le corse e la “spesa inutile”. Questo articolo non intende quindi sollecitare genitori e figli ad uscire da casa ma aumentare la consapevolezza sui diritti dei bambini. Non sono adulti in miniatura, hanno bisogni specifici che devono essere considerati perché tutelati dalle Convenzioni Internazionali.
Il PROBLEMA.
Il punto non è se i bambini possono fare brevi e limitate uscite da casa con i propri genitori. Perché possono, anche se noi adulti dobbiamo regolamentarle seguendo due criteri: la prudenza (non portarli in luoghi affollati e non creare assembramenti) e la limitatezza (farlo il meno possibile e non scambiare questa opportunità per l’ora del passeggio).
Il punto è un altro, l’odio inconscio e atavico nei confronti dei bambini.
Il PRIMO SINTOMO di questa terribile patologia culturale si manifesta nell’incapacità di fornire un messaggio normativo chiaro e comprensibile. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il DPCM 1.4.2020, ha prorogato sino al 13 aprile i provvedimenti precedenti e l’ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo. Allo stato attuale sono consentite brevi uscite in sicurezza agli adulti vicino a casa, al passo o di corsa, e ai proprietari di cani. Non si rinviene nessun espresso divieto per i bambini. Per quanto riguarda le interpretazioni del testo normativo si sono espressi prima il Ministero dell’Interno che ha precisato che i bambini possono essere portati sotto casa da un genitore per breve tempo e poi il Presidente del Consiglio che ha affermato che i bambini possono uscire da casa con un genitore solamente per andare a fare la spesa. Compreso l’intento di chiarire, – sebbene con un esempio infelice perché il supermercato non rappresenta certamente il luogo più sicuro -, che le uscite non devono avere una finalità ludica, è evidente che non ci sono divieti. I bambini possono uscire. (G.G. Pisotti, marzo/aprile 2020, facebook).
Il SECONDO SINTOMO appare nei miti, nelle fiabe e nella storia dell’umanità che raccontano di bambini uccisi, sfruttati e maltrattati. Oppure vittime di abbandono digitale perché lasciati in balia di smartphone e videogiochi, talvolta vietati ai minori di anni 18. Insomma è l’odio, non la protezione, la costante che continua a ripetersi nella vita di moltissimi bambini.
Il TERZO SINTOMO si manifesta online.
Se si evidenzia che i bambini hanno la necessità di fare piccole e limitate uscite perché non possono rimanere reclusi per settimane in piccoli appartamenti senza vedere la luce del sole e respirare aria pulita, si contesta che è pericoloso e che comunque non ne hanno bisogno perché stanno meglio dentro casa. Se qualcuno lamenta il malessere manifestato dai propri figli in seguito alla quarantena, è immediatamente accusato di non essere un bravo genitore o addirittura di non avere voglia di farlo. Perché l’idea, infondata ma virale come tutte le bufale, è che l’unico fattore traumatico sia l’incapacità dei genitori di trasmettere calma e serenità ai propri figli. Se non ci riesci a tranquillizzarlo, sei allora un cattivo genitore. Anche se vivi in 50 mq di casa, priva di balconi e cortile condominiale, patendo probabilmente sofferenze psicologiche ed economiche.
Il QUARTO SINTOMO: gli odiatori digitali di bambini.
Insomma, quando l’ignoranza si mischia con l’odio partorisce nuove forme aberranti di abuso all’infanzia. Sono gli odiatori digitali di bambini. Talvolta genitori loro stessi, ma (in alcuni casi) possessori di giardini, terrazze e cortili di cui possono disporre per se stessi e i loro figli, che indignati urlano la pericolosità di fare uscire da casa per qualche decina di minuti i bambini. Quelli degli altri ovviamente, quelli che hanno minori opportunità perché privi di spazi privati all’aperto in cui possono giocare. Eppure molti di questi falsi protettori della salute pubblica si recano a fare la spesa più volte a settimana oppure vanno a lavorare rischiando di contrarre il virus e di trasmetterlo ai propri figli. Insomma la sicurezza sanitaria è il criterio a cui devono sottostare esclusivamente i bambini che nelle fantasie di questi odiatori sono diventati untori che, toccando ossessivamente gli oggetti con cui entrano in contatto, diventano il principale veicolo di trasferimento del virus. Nonostante non ci siano evidenze in questa direzione. Nonostante nessun genitore permetta, se sano di mente, questi comportamenti.
ALLORA METTIAMO ORDINE. Anche la pandemia può essere un evento traumatico perché interrompe lo stile di vita delle persone. Ma fortunatamente il trauma è un concetto relazionale co-determinato dall’interazione di più fattori. Di conseguenza, sfatiamo le seguenti bufale. Se un bambino manifesta malessere per via della quarantena non è detto che sia sempre colpa del genitore. Se un genitore chiede di fare uscire il figlio per qualche minuto non vuol dire che non abbia voglia di prendersene cura perché è troppo faticoso farlo. Se un bambino esce da casa non diventa l’agente causale della pandemia.
Ciò che è veramente pericoloso non è quindi l’uscita da casa per qualche decina di minuti di quei pochissimi bambini che vivono in Italia ma la presenza in molti adulti del meccanismo di difesa della scissione che favorisce percezioni persecutorie della realtà.
No. Non andrà tutto bene se si continuerà a odiare il nostro futuro.
Luca Pisano, Osservatorio Cybercrime