Il sito archeologico Su Soddu a Selargius: un tesoro poco valorizzato

“I reperti rinvenuti sono migliaia e di eccezionale valore scientifico e culturale. Varie statuette della Dea Madre, vasi, asce, macine,  tripodi, armi in ossidiana e selce, macinelli e tanto altro. Di questi, però, solo alcuni  sono stati esposti” dice Carlo Desogus, ispettore onorario della Soprintendenza archeologica


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Un vero e proprio tesoro di storia e cultura è quello che è stato riportato alla luce a Selargius negli anni ottanta e che, ancora oggi, regala frammenti di vita che ci riportano a “spasso nel tempo”. Stili e modi dell’uomo vissuto ben cinque mila anni fa e fatti riaffiorare grazie a Carlo Desogus, ispettore onorario della Soprintendenza archeologica per oltre vent’anni, che nel corso degli anni non ha mai abbandonato la sua immensa dedizione verso l’archeologia. Fu scoperto così il sito archeologico del neolitico “Su Coddu”, un luogo che ha custodito per millenni pozzi e capanne classificati tra i più antichi del mediterraneo.
“I reperti rinvenuti sono migliaia e di eccezionale valore scientifico e culturale. Varie statuette della Dea Madre, vasi, asce, macine,  tripodi, armi in ossidiana e selce, macinelli e tanto altro. Di questi, però, solo alcuni  sono stati esposti” spiega Desogus. Negli ultimi mesi sono stati eseguiti degli ultimi scavi ma non tutto sarebbe andato come impongono i severi e minuziosi canoni impiegati per riportare alla luce e classificare, nel modo più preciso possibile, i resti rinvenuti. “Decine di metri cubi di terra dello scavo non sono stati setacciati per niente – afferma Carlo Desogus –  come la norma prescrive. Ogni strato di terra dello scavo va setacciato subito in modo che ogni frammento dei reperti venga collocato al posto giusto. Nello stato attuale il cumulo di terra è unico, quindi se pure si passasse al setaccio sarebbe ormai impossibile collocare il frammento al posto giusto”.
E ancor più grave “credo che la terra verrà gettata da qualche parte, quindi distruzione di reperti archeologici da parte di chi dovrebbe  salvaguardare e valorizzare il patrimonio portato alla luce. Delle capanne rinvenute nel corso degli anni non resta nulla; tutte coperte di cemento e ancora cemento” spiega Desogus. Gusci e conchiglie, ostriche, arselle e cozze che sono gli avanzi dei pasti dell’epoca rischiano di non essere valorizzati come invece meriterebbero, frammenti di quotidianità di quando gli uomini vivevano in capanne coperte o semi coperte con pietre laterali, taci di legno con frasche o, probabilmente, canne palustri.