Intervista a Gigi Riva: “Stress e dolori, ma resisto e amo Cagliari”

Un Rombo di Tuono inedito parla a ruota libera


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Anche le leggende viventi hanno un’anima e una dimensione terrena tremendamente reale a cui dover rendere conto. Nessuno può sfuggire a questa regola. Nemmeno se ti chiami Gigi Riva.

E neppure se qualcuno che leggenda vivente – seppur in altri ambiti – lo è stato quanto te, prima di te, ha deciso un giorno di farti passare alla storia con un appellativo che evoca qualcosa di estremamente potente, ineluttabile e indistruttibile: Rombo di Tuono. Boom. Un’espressione che riecheggia anche solo a sentirla in lontananza. Ma dietro alla quale, paradossalmente, possono celarsi anche fragilità e debolezze molto più umane che prendono i nomi di tristezza, depressione, ansia, solitudine. Un passeggero oscuro che sei costretto a portarti dietro, pur controvoglia.

È un Gigi Riva inedito quello che si concede in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nella quale, col cuore in mano e con la disponibilità e il garbo che lo ha sempre contraddistinto, racconta gli aspetti più intimi di sé, anche quelli più amari, ad esempio la depressione che periodicamente si ripresenta, o la solitudine:

“Capita di tanto in tanto, è una questione di testa. Non ho avuto una grande infanzia, tutto parte da lì, e il resto me lo sono creato da solo. Arrivai nel 1963, orfano di entrambi i genitori. Mio padre aveva fatto tre guerre: quella del 1915/1918 e quella d’Africa e aveva lavorato in una galleria ferroviaria durante la Seconda guerra mondiale: è morto di tumore ai polmoni; mia madre pure è morta di cancro, dopo tanti sacrifici per me e le mie tre sorelle. A Cagliari trovai una nuova famiglia. La vigilia di Natale, i miei due figli e le mie nipoti trascorrono il 24 con la madre, noi ci vediamo la sera del 25. Non da me però, che con quattro bambine dai sette mesi ai tredici anni poi la casa bisogna rimetterla in ordine!».

Un malessere che, unito agli inevitabili acciacchi fisici dovuti al lento e inevitabile scorrere del tempo, lo invalida nel fare ciò che ha sempre fatto sino a poco tempo fa, ad esempio andare a vedere le partite allo stadio o fare il Team Manager della nazionale:

Troppa ansia, soffro. Anche quando scendevo in campo io, se magari ero stato squalificato, non restavo mai in tribuna: prendevo la macchina e guidavo fino a Costa Rei o a Muravera. Ora ascolto il risultato finale e il giorno dopo mi guardo la partita. Faccio così anche con gli Azzurri, per vedere se Cassano ha fatto il bravo e se Balotelli ha reagito alle provocazioni. Fare il manager degli azzurri, invece, era diventato molto stressante per me: durante i match dovevo prendere il Lexotan per calmarmi. Prandelli mi ha chiamato un paio di volte chiedendomi di ripensarci. Il direttore generale della Figc Antonello Valentini ogni tanto ci riprova. Ma le mie ossa rotte si stanno facendo sentire. I problemi all’anca, con l’artrosi, sono peggiorati e la fisioterapia non basta. Non riesco più a fare le scale, mi devo fermare a metà. Non voglio fare il dirigente che zoppica….”.

Ma il legame con la Nazionale è ancora vivo, grazie anche al fatto che Gigi è tuttora detentore del record di gol con la maglia azzurra:

“Ma si giocava molto meno. Adesso mi sembra quasi che vogliano mascherare i problemi del Paese con il calcio, tenendo le persone inchiodate al televisore per non far aprire il frigo vuoto. Attualmente, il mio giocatore preferito è Giuseppe Rossi, perché è simpatico, educato, sulle labbra ha sempre il sorriso e in mano un pallone o una pallettina. Prandelli? È il migliore. Umanamente eccezionale, la sua storia personale parla per lui. Sa prendere i giocatori nel modo giusto, sa punirli. Ed è un uomo buono”.

E ancor più forte è il legame con Cagliari, la Sardegna e il Cagliari, di cui porta con sé ancora tantissimi ricordi, anche quelli più coloriti:

“Gli avversari ci gridavano “ladri, banditi e pecorai”. Gli arbitraggi con le grandi erano sempre a nostro svantaggio. Eppure vedevo questi pullman di tifosi che arrivavano a Milano o a Torino dalla Germania, dall’Olanda, dall’Inghilterra. Nei loro occhi non leggevi la gioia dello sportivo, ma del sardo: era orgoglio. Come potevo andarmene? Ricevevo tantissime lettere, pure da Graziano Mesina, latitante: le sue le bruciavo. Mi era simpatico. Ma ci sono rimasto male per l’ultimo arresto: della favola che lo avvolgeva non è rimasto niente”.

E oggi che fa Rombo di Tuono?

“Colazione nel bar sotto casa, dove c’è Eva che mi maltratta. Prendo caffè e brioche e vado nel mio studio, leggo i giornali – Corriere , Gazzetta e L’Unione Sarda – e controllo se qualcuno mi ha scritto su Internet, rispondo a tutti. Passo a salutare un amico, commentiamo le notizie. Tutte le sere ceno da Giacomo, che ha un ristorante di pesce, ma a me prepara il minestrone di verdure. Mangio da solo o, se capita, in compagnia. E faccio il nonno”.

Infine, il buon Gigi si toglie qualche sassolino dalle scarpe, prima a proposito dell’iscrizione nel registro degli indagati per falso ideologico, poi con l’Unione Sarda, rea di non averlo considerato un sardo:

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