Italia matrigna, tagli ai comuni: i sardi quelli più penalizzati

Il presidente dell’Anci Emiliano Deiana: “Mancano all’appello 2,3 miliardi di euro.  Un dato pauroso. La Sardegna ha subito i tagli maggiori dallo Stato: -43%, la Lombardia solo il 10%. Mentre i comuni sardi rappresentano solo il 7,6 per cento della spesa pubblica. Ci chiediamo perchè? E perchè, visto che i dati sono pubblici, nessuno ha controllato prima?


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Di Emiliano Deiana Presidente Anci Sardegna

 

“Oggi (ieri, ndr) ANCI Sardegna, riprendendo una battaglia iniziata grazie ai sindaci di Escalaplano, Marco Lampis, e di Ilbono, Andrea Piroddi, ha presentato uno studio sulla finanza locale dei Comuni sardi. 
I dati sono pubblici – fonte ministero degli Interni e Ifel (la fondazione di ANCI per la finanza locale) – si trattava solo di metterli insieme ed elaborarli. 
Ho passato – insieme a pochi e fidati collaboratori – settimane a eleborarli. Settimane di poco sonno e di grande apprensione. Oggi possiamo dire molte cose. E le diciamo, finalmente, con cognizione di causa. Tutti – quando scrivo tutti significa tutti – potevano fare ciò che hanno fatto quattro sindaci scalcinati.  

La domanda è: perché nessuna l’ha fatto prima? 

 
Ai Comuni sardi mancano 2,6 MILIARDI di euro. Un dato “pauroso” che dovrebbe far riflettere: il Patto per la Sardegna, firmato con tanta enfasi, ne vale 2,3 miliardi. 

Per dire.

Fra il 2009 e il 2013 sono stati tagliati ai comuni sardi oltre 300 MILIONI di euro. Un taglio che per l’effetto trascinamento nel quadriennio 2014-2017 ha prodotto un ammanco di 1,2 MILIARDI di euro. 
Fermi negli Avanzi di Amministrazione dei Comuni – per effetto dell’armonizzazione dei bilanci – c’è un “tesoretto” di 1,4 MILIARDI di euro. Di questi fondi se ne può utilizzare, annualmente, solo una parte (circa 300 milioni annui) secondo un meccanismo “criminogeno” e punitivo per gli enti meno indebitati e che riscuotono fedelmente le imposte.

I comuni della Sardegna, dice Ifel, hanno subito tagli per 300 milioni di euro. La Sardegna è la Regione che ha subito tagli maggiori: -43%. La Lombardia, per esempio, ha subito tagli per solo il -10%. 
Perché, ci chiediamo e chiediamo? 
I Comuni rappresentano solo il 7,6% (Fonte Anci Emilia-Romagna) della spesa pubblica dello Stato Italiano. Una porzione minoritaria del Bilancio dello Stato che, anche se fosse azzerata, non risolverebbe affatto i problemi finanziari della nazione italiana.

Nel 2014 la Corte dei Conti, Sezione Autonomie, ha certificato in audizione alla Camera dei Deputati ( http://www.corteconti.it/…/sez_autonomie/2014/audizione_21_… ) che fra il 2009 e il 2012 il taglio ai comuni è stato di 31 miliardi di euro: 16 miliardi di inasprimento del Patto di Stabilità interno e 15 miliardi di tagli ai trasferimenti. 
Nel 2013 c’è stato un ulteriore taglio da 2,5 miliardi di euro che è stato oggetto di bocciatura da parte della Corte Costituzionale per ragioni non solo procedimentali, ma anche di merito ovvero sulla effettiva possibilità da parte dei Comuni di erogare i servizi di base per i cittadini.

Si dice, non a torto, che il problema principale dei conti pubblici dello Stato Italiano sia rappresentato dall’esagerato Debito Pubblico. Leggendo le cronache economiche si apprende che il debito pubblico italiano (Fonte Sole 24 Ore) è passato dal 132,1% al 132,6%.
Nel bienni 2014-2016 il debito degli enti locali è calato di oltre 10 miliardi di euro (-10%, mentre quello dello Stato è cresciuto di quasi 87 miliardi (+4%). Da settembre 2014 a settembre 2016 Sindaci e Presidenti di Regione – indicati, anche grazie alla stampa e agli incaricati governativi alla spending review, come “spreconi” e scialacquatori di risorse pubbliche – hanno ridotto la loro porzione di debito da 101 a 91 miliardi, mentre lo Stato ha aumentato il debito da 2.043 miliardi a 2.130 miliardi.
Il debito addebitabile ai comuni rappresenta il 2,5% del totale del debito dello Stato italiano.

È a tutti evidente che le politiche unidirezionali di tagli alla spesa ai settori che quantitativamente sono meno significative e qualitativamente più importanti per via dei servizi di prossimità erogati ai cittadini non potevano che tradursi in un fallimento.

Oggi occorre dire con forza che i tagli alla spesa e la dittatura dei vincoli di bilancio contro i comuni sono fallite e hanno, al contrario, prodotto danni incalcolabili alla democrazia locale, all’economia dei luoghi, alla vita stessa delle comunità urbane e rurali. In Sardegna, in un tessuto economico e sociale già fragilissimo, tale politica si è riverberata con maggiore virulenza producendo danni che non sono ancora facilmente quantificabili. 
Che fare, allora? 
La prima cosa è la coscienza. Avere coscienza del punto in cui siamo. Un punto così basso dal quale non si può che risalire. 
Poi occorre trasformare la questione da “comunale” in generale per farla diventare una battaglia di popolo. 
La vera vertenza entrate, in Sardegna, è quella dei Comuni e delle comunità. 
I 600 milioni di accantonamenti che inquietano tanto la Giunta Regionale sono 1/4 degli ammanchi dei Comuni sardi. 
La battaglia è solo agli inizi. Ma adesso abbiamo i numeri e la consapevolezza che occorre una battaglia unitaria che coinvolga tutti i comuni sardi senza contrapposizioni fra grandi e piccoli; fra aree urbane e aree rurali. 
Nei prossimi giorni, state sicuri, arriveranno anche le proposte. 
Il documento sarà trasmesso ai tutti i comuni della Sardegna e presentato in una conferenza stampa a tutti i sardi. 
Successivamente sarà consegnato al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio Regionale per aprire una discussione pubblica sullo stato della democrazia locale in Sardegna. 
[E]

PS
I dati, per gli avanzi e i tagli, li abbiamo comune per comune. Nel caso possiamo “brandirli” come durlindane.”


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