Sardegna, un uomo e una donna dormono nella sala d’attesa di un ospedale

Un uomo e una donna (qualcuno li chiama “barboni”, altri “senza tetto”, altri ancora più delicati “clochard”.) che dormono nell’atrio, incuranti del viavai del pronto soccorso. Un uomo e una donna. Se ne sente il respiro pesante. E chissà che storia si portano dietro per essere finiti a dormire nella sala d’aspetto di un pronto soccorso


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di Daniela Falconi

LE SALE DI ASPETTO DEGLI OSPEDALI*

Un uomo e una donna (qualcuno li chiama “barboni”, altri “senza tetto”, altri ancora più delicati “clochard”.) che dormono nell’atrio, incuranti del viavai del pronto soccorso. Un uomo e una donna. Se ne sente il respiro pesante. E chissà che storia si portano dietro per essere finiti a dormire nella sala d’aspetto di un pronto soccorso. Segno che anche qui, nella profonda barbagia, qualcosa di molto grande e molto terribile è successo e sta succedendo. Qualcosa che non avevamo mai visto.
C’è qualcosa, qualcosa di molto “lontano” che succede nelle sale di aspetto degli ospedali. Lontano dalle vite di ogni giorno. Lontano dalla città, lontano dai paesi. Un mondo altro, negli ospedali.
Specie di notte.
La notte che si dilata sempre, negli ospedali.
È qualcosa che ha a che vedere col silenzio, con l’attesa, con le vite degli altri.
Si intreccia tutto nel silenzio. Si intrecciano i dolori grandi e piccoli e si condivide tutto anche quando non si ha nulla. Quel silenzio ovattato rotto solo dalle barelle che vanno e vengono, dalle sirene che per fortuna stanotte sono quasi inesistenti, dai lamenti di chi soffre, dalle parole dei medici, degli infermieri che durante il turno di notte sembrano sempre più belli.
E lo sono, i medici e gli infermieri: più belli, più gentili, più teneri. O magari sono sempre così. Chissà. Ma la notte sono di più.
Nessuno ha sonno eppure in tanti vincono il dolore e si addormentano.
Si intreccia la paura, l’ansia, le parole di conforto. E ci si guarda. Anche senza parlare ma ci si guarda. E si vorrebbe stringere forte chiunque.
Una donna straniera col telefono scarico, è li da sola. È caduta e si è fatta male ma sorride. Non le serve il caricabatterie perché non ha nessuno da chiamare. Però sorride impaurita. E ringrazia chiunque si avvicini ad aiutarla.
Un ragazzo con un polso rotto. Non si vede più il polso dal gonfiore. Avrà un dolore indescrivibile ma non lo da a vedere. Eppure è in piedi e passeggia tra le barelle a chiacchierare con gli anziani
E poi anziani, anziani con i figli. Con i nipoti. E ancora anziani, anziani da soli che finalmente riescono a dormire anche se con loro non c’è nessuno a tenere la mano o a tirargli su le coperte mentre attendono di essere visitati.

Quante parole sono state dette sugli ospedali in questi mesi, su questi “non luoghi” che prendono così prepotentemente la vita di ognuno di noi.
E io spero che tra chi esulta per il risultato raggiunto e chi si lamenta per la perdita di qualcosa (mai uno che esulti per un territorio non suo…. e vabbè) l’unico faro siano solo queste vite che si intrecciano qui dentro.

[*stiamo tutti bene, tranquilli. Sempre meglio un viaggio a vuoto]


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