Sardegna, l’ecatombe del commercio nell’indifferenza: i numeri choc di Confesercenti

I numeri choc: “Nel corso del 2017 sono stati tantissimi i commercianti sardi che hanno abbassato definitivamente la serranda della propria attività. ben 2.615 (2.575 NEL 2016) aziende del commercio, infatti, hanno presentato cancellazione al registro delle imprese a fronte di 1.236 (1.439 nel 2016) nuove iscrizioni determinando un saldo negativo di 1.379 (1.136 dell’anno 2016) imprese”


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Confesercenti Sardegna ieri, mercoledì 20 giugno 2018, ha presentato alla Commissione speciale sulla crisi delle attività produttive la relazione sul commercio in Sardegna e le richieste di tutto il comparto, in attesa che venga proposta e approvata al più presto una legge regionale a tutela delle imprese attive nell’artigianato e nel commercio al dettaglio.

Segue il testo della relazione:

“Nel corso del 2017 sono stati tantissimi i commercianti sardi che hanno abbassato definitivamente la serranda della propria attività. ben 2.615 (2.575 NEL 2016) aziende del commercio, infatti, hanno presentato cancellazione al registro delle imprese a fronte di 1.236 (1.439 nel 2016) nuove iscrizioni determinando un saldo negativo di 1.379 (1.136 dell’anno 2016) imprese (-3,6%).

Dati che confermano una tendenza diffusa negli ultimi anni e che non suffragano affatto i proclami di ripresa economica spesso abusati.

Tutte serrande abbassate che rappresentano un macigno insopportabile da sostenere, soprattutto nelle città capoluogo dove oramai vi sono tanti rioni privi dei servizi più essenziali: spariscono le attività commerciali, dai negozi alimentari ai pubblici esercizi, e questa è la situazione che si presenta all’orizzonte di tutte le aree più decentrate (e non) delle città, nonché, di tutti i piccoli centri dell’isola.

In sostanza si assiste ad una vera e propria desertificazione dei centri urbani e l’assenza di attività commerciali nei centri urbani la dice lunga sulla difficoltà che queste riscontrano a stare sul mercato in aree marginali della città così come, purtroppo, in tutti i centri minori dell’isola.

La politica dovrebbe almeno a posteriori riconoscere che questo è il risultato della totale indifferenza verso il comparto che ha caratterizzato l’attività politico-amministrativa di tutte le amministrazioni ai vari livelli. Parliamo di settori vittime non solo della crisi ma anche e soprattutto dell’assenza di qualsiasi intervento concreto in materia di abusivismo, oltre che della totale mancanza di scelte coraggiose in materia di programmazione.

QUESTIONE COMMERCIO E CENTRI URBANI

Riteniamo che da sempre il commercio non abbia goduto delle dovute attenzioni da parte di chi ci governa,  a tutti i livelli.

Tutte le disquisizioni che si fanno sul settore, a nostro avviso,  dovrebbero andare oltre le valutazioni esclusivamente economiche e riconoscere al settore per lo meno una insostituibile funzione  in termini di elevazione della qualità della vita. Il commercio, infatti,  da sempre, assume un ruolo fondamentale (ma non riconosciuto se non a parole) nell’ambito della vita quotidiana in quanto capace di sprigionare una forza equilibratrice di tutta la vita sociale condizionando  le stesse funzioni delle città e i comportamenti singoli e collettivi.

Da sempre chiediamo a chi  ha responsabilità di governo  di verificare adeguatamente le poste in gioco,  soprattutto, in relazione all’idea di commercio verso cui si vuole andare.

Da una parte una rete distributiva concentrata e periferica con un’idea di commercio parametrato e discriminato rispetto all’esclusiva valutazione del rapporto prezzo/prodotto, dall’altra una rete distributiva diffusa e integrata con il tessuto urbano, per un commercio che crei interesse, vivacità, favorisca l’aggregazione, qualifichi i contesti urbani e sia volano e moltiplicatore per l’incontro e lo svago.

Anche in questo caso posizionarsi in una di queste due “idee” non è irrilevante ai fini delle decisioni che questa Commissione vorrà assumere.

Crediamo che l’idea di commercio che favorisca l’animazione dei nostri centri urbani vada non solo condivisa ma anche sostenuta economicamente con strumenti più agili e immediati e soprattutto non limitati dalle rigide regole del bando di cui agli incentivi ai CCN previsti all’articolo 36 della L.R. 18 maggio 2006, n. 5; … che potrebbero favorire in modo più efficace l’integrazione e soprattutto l’interazione tra il sistema distributivo di prossimità e il sistema produttivo/artigianale locale.

COMMERCIO DI PROSSIMITA’ E GRANDE DISTRIBUZIONE

E mentre il  commercio di vicinato continua a vivere un dramma sempre più profondo, prendiamo atto che la GDO, di contro, si espande e continua a conquistare nuove fette di mercato.

Appare dunque quanto mai necessario intervenire nella nuova Legge urbanistica attualmente in discussione prevedendo dei vincoli urbanistici al fine di ristabilire quel minimo di equilibrio tanto evocato tra le finalità della normativa specifica (L.R. n° 5/2006).

A nostro avviso chi a vario titolo ha responsabilità di governo dovrebbe partire da qui e maturare la convinzione che un settore come il commercio necessita di un vero e proprio piano straordinario di intervento, di una azione politica a sostegno che riconosca il ruolo sociale che esso esercita.

L’alternativa non può che essere una sola: il deserto, e con esso un incremento dei costi sociali che esso determina.

COMMERCIO: UN SETTORE SENZA REGOLE

Riscontriamo, invece, l’assenza della benché minima attenzione verso il comparto da parte della politica   con la logica conseguenza di trovarci di fronte ad una legge che possiamo definire oltre che obsoleta quasi del tutto inesistente.

E affinché quanto detto non venga considerata una semplice quanto generica enunciazione ci permettiamo di allegare alla presente relazione una copia della Legge 5/2006 con al suo interno evidenziati in giallo gli articoli divenuti negli anni inapplicabili per effetto di sopraggiunte Leggi, Decreti, Regolamenti comunitari e Leggi regionali che  modificandola  senza citarla, di fatto  l’hanno svuotata di qualsiasi significato.

Quindi volendo trattare della grave crisi delle aziende del commercio, Codesta spettabile Commissione non può, a nostro avviso, che favorire un processo che, partendo da una organica rivisitazione della Legge di settore,  possa dare un sistema di regole certe ad un settore da troppo tempo in stato di completo abbandono.

Ricordiamo a riguardo che già nella gestione “CRISPONI” del competente Assessorato regionale venne istituito un apposito tavolo tecnico che avrebbe dovuto rivisitare la Legge e che invece non è mai stato convocato (né dall’On. Crisponi né, tantomeno,  dai suoi successori).

ABUSIVISMO

Dobbiamo comunque essere tutti consapevoli che qualsiasi intervento normativo e/o regolamentare si voglia prevedere per il comparto commerciale  verrà comunque vanificato dall’assenza di coraggiosi quanto concreti provvedimenti sul fronte dell’abusivismo più o meno mascherato.

Tale fenomeno, infatti,  ha assunto dimensioni talmente importanti da creare danni in misura non inferiore  a quanto possa fare la stessa crisi dei consumi.

Se da un lato è legittimo salvaguardare il diritto a fare impresa, nonché, quello  all’associazionismo per fini non vietati dalla legge penale, dall’altro si pone l’obbligo di far rispettare le norme poste a tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica e non ultimo, del principio della leale concorrenza.

Non esiste ormai un settore del comparto commerciale che non debba subire la concorrenza sleale di pseudo operatori che potremmo definire “abusivi”.

Basti pensare al rapporto esistente tra agriturismi che da sempre esercitano indisturbati nell’assoluta indifferenza degli organi preposti ai controlli, attività al limite del consentito con grave danno per la categoria dei ristoratori

Si potrebbe continuare ulteriormente con il settore del commercio su aree pubbliche per il quale più che mai si può parlare di  “abusivismo commerciale”. Oramai l’intero territorio isolano è invaso da un esercito di gente che vende per strada qualsiasi cosa.

Una menzione particolare la merita sicuramente la questione dei circoli privati.

Il crescente numero di circoli privati svolgenti attività assimilabili a quelle dei pubblici esercizi ha posto in essere situazioni di evidente abuso non più ignorabili ne da parte delle associazioni di categoria ne, tantomeno, da parte delle pubbliche amministrazioni.

Segnaliamo che l’attività commerciale, quale è certamente la somministrazione di alimenti o bevande, svolta da tali enti collateralmente alla propria attività statutaria, è legittima fin quando si pone in una funzione sussidiaria e indiretta rispetto a quella principale cui è diretto il perseguimento dei fini propri dell’ente medesimo. Qualora, invece, presunte attività culturali, ricreative, sportive ecc. diventino esclusivamente un espediente per mascherare vere e proprie attività imprenditoriali, eludendo, così, l’obbligo facente capo ai gestori di pubblici esercizi di munirsi di prescritta autorizzazione, ci troviamo di fronte ad una situazione di palese illegalità che deve essere al più presto corretta.

Sul fronte legislativo interventi concreti si auspicano anche in materia di orari e aperture domenicali che vista l’eccezionalità della crisi dovrebbero essere assunti anche in deroga a quanto previsto dal cosiddetto decreto Salva Italia.

Così come nella dovuta attenzione dovrebbero essere prese le questioni legate alle vendite  straordinarie in relazione alle quali si verificano comportamenti spesso elusivi delle norme che determinano azioni di concorrenza sleale che gli operatori, solitamente adempienti rispetto a tutti gli obblighi di legge, subiscono ingiustamente.

Si auspicano a riguardo piccoli aggiustamenti all’articolo 7 della norma che potrebbero aiutare a prevenire situazioni di evidente abuso. Si chiede in sostanza un più efficace sistema sanzionatorio.

PUBBLICI ESERCIZI E PROGRAMMAZIONE

La L.R. n° 5/06 e la delibera della Giunta Regionale n°  54/3 del 28 dicembre 2006, pubblicata sul   B.U.R.A.S. del 17 febbraio 2007, oltre a stabilire che il rilascio delle autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande non può essere subordinato ad alcun contingentamento numerico (art. 2 direttive regionali), affermano sostanzialmente il dovere dei comuni (art 3, comma 3) di “promuovere l’equilibrata dislocazione sul territorio delle attività di somministrazione al fine di assicurare che tutte le zone siano  adeguatamente servite…”.

In altri termini, la Legge chiama  il Comune ad indirizzare le scelte degli imprenditori verso ciò che più risulta essere rispondente all’interesse pubblico, attraverso una programmazione che non limiti l’iniziativa economica, ma la orienti verso l’obiettivo comune, con una molteplicità di criteri e metodi di governo non più improntati alla rigida logica numerica.

E’ evidente, a riguardo, quanto il nuovo sistema di programmazione voluto dal legislatore regionale con la L. R. n° 5/06 si sia rilevato un completo fallimento.

I  Comuni, infatti, hanno rinunciato a qualsiasi tentativo di conciliare ed ottimizzare il rapporto fra l’interesse dell’imprenditore e quello della collettività.

Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, non hanno provveduto a predisporre i criteri di programmazione, o quando lo hanno fatto, approfittando di una norma un po’ vaga nella sua formulazione, hanno attuato una spregiudicata quanto  pericolosa “liberalizzazione” del settore con le conseguenze che tutti noi possiamo immaginare.

Riteniamo, anche in questo caso, che non sia ulteriormente rinviabile al futuro  una rivisitazione della norma che tenda verso un sostanziale riequilibrio degli interessi in gioco, precisando criteri oggettivi in base ai quali i comuni possano programmare la rete dei pubblici esercizi.

In sostanza è a nostro avviso indispensabile rendere obbligatoria in capo alle amministrazioni comunali, l’adozione di criteri di programmazione costringendo i sindaci ad esercitare il proprio diritto/dovere a governare il territorio, anche imponendo in assenza dello strumento programmatorio comunale,  il momentaneo blocco delle autorizzazioni.

COMMERCIO SU AREE PUBBLICHE

A  seguito dell’entrata in vigore della Direttiva Servizi e dei conseguenti provvedimenti  della  Conferenza Unificata delle Regioni e delle Province Autonome recanti, tra gli altri, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, ai sensi del D. Lgs. n. 59/2010 di recepimento della Direttiva Bolkestein, non sono seguiti in Sardegna i dovuti provvedimenti legislativi di recepimento lasciando nel caos le amministrazioni comunali e con esse migliaia di operatori.

A riguardo diventa quantomeno urgente la modifica della Legge regionale che liberi i commercianti su area pubblica dalla confusione imperante che finisce, come spesso accade, per favorire comportamenti elusivi, nonché, forti contrasti tra le diverse forme distributive di vendita.

INTERVENTI AGEVOLATIVI PER FAVORIRE L’AMMODERNAMENTO DEL SETTORE

Si chiede la previsione di una Legge agevolativa specifica per il commercio con una cospicua dotazione finanziaria tale da ripagare un settore troppo spesso discriminato dal sistema degli aiuti all’impresa; una Legge, così come è stata la ex Legge n° 9 del 21 maggio 2002,  che liberi il commercio dalle rigidità degli ultimi bandi T1, T2 i quali per varie ragioni sono risultati essere improponibili per il settore commerciale che è stato quello ad aver subito le maggiori penalizzazioni.

I dati a consuntivo dei bandi di cui trattasi ci confermano, infatti,  che il criterio dell’innovazione richiesto nel BANDO sia stato “spinto” in  misura tale da esasperare l’intero impianto agevolativo. A riguardo crediamo di non poter essere smentiti nell’affermare che, viste le finalità dei Bandi e la combinazione  tra requisiti richiesti  e la frase riportata negli stessi “Sono esclusi i Piani costituiti da investimenti di mera sostituzione”,  abbia reso, nella fase  istruttoria, troppo restrittiva ogni valutazione sul  riconoscimento del requisito di “innovazione” che gli investimenti agevolabili avrebbero dovuto rispettare.

Infine, non tralasciamo il fatto che nel Bando T2 il commercio è stato completamente escluso nonostante nelle  schede presentateci nella fase di concertazione risultava chiaramente che la misura fosse rivolta a tutti i settori economici.

La norma di cui trattasi, inoltre, dovrebbe prevedere sulla falsariga del provvedimento approvato dalla Giunta regionale nella seduta del 27 marzo 2018 denominato “LE NUOVE MODALITA’ OPERATIVE PER LA CONCESSIONE DI CONTRIBUTI PER LE OPERAZIONI DI CREDITO ARTIGIANO AGEVOLATO” (allegato 1 alla Delibera di Giunta n. 15/21 del 27 marzo 2018), un contributo per la copertura dei costi di adesione ad un consorzio fidi  (pari allo 0,5% annui per massimo 5 anni). Si ricorda che una proposta di questo tipo venne già avanzata dalla CONFESERCENTI REGIONALE alla competente Commissione del Consiglio regionale nella fase di discussione della Legge di Bilancio relativa all’esercizio 2018.

Anche in questo caso si è visto bene di approvarla per il settore artigianato ignorando (o meglio escludendolo) completamente il comparto commerciale.”