Monitoraggio ambientale, 4mila giovani anguille rilasciate in due fiumi dell’Ogliastra

Prosegue in questi giorni il Piano Regionale di gestione dell’anguilla: sono terminate ieri le operazioni di ripopolamento con esemplari di anguilla rilasciati nella foce del Rio Pramaera (in territorio di Lotzorai) e nel tratto montano del Rio Ulassai, gestite e guidate dal Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari e dall’agenzia Agris della Regione Autonoma della Sardegna


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Prosegue in questi giorni il Piano Regionale di gestione dell’anguilla: sono terminate ieri le operazioni di ripopolamento con esemplari di anguilla rilasciati nella foce del Rio Pramaera (in territorio di Lotzorai) e nel tratto montano del Rio Ulassai, gestite e guidate dal Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari e dall’agenzia Agris della Regione Autonoma della Sardegna. Sono stati rilasciati duemila esemplari in ogni sito.

Le “ceche” – questo il nome della prima forma giovanile dell’anguilla, specie inserita nell’elenco di quelle a rischio di estinzione  – sono state pescate a marzo nella foce del Pramaera e trasferite e quindi stabulate in un impianto di anguillicoltura a San Nicolò di Arcidano: dai 6 centimetri iniziali hanno raggiunto – in otto mesi – una lunghezza massima di 30 centimetri.

Prima del rilascio, gli animali sono stati marcati con speciali microchip in modo da consentire ai ricercatori coinvolti nel Piano regionale di seguire sia l’accrescimento di ciascun individuo sia gli spostamenti lungo i due fiumi che scorrono in Ogliastra. I due siti prescelti sono profondamente differenti: nella foce del Pramaera vivono anche altri esemplari selvatici, mentre nel tratto montano del Rio Ulassai non ci sono altre anguille.

“Il sito di Ulassai si presta particolarmente ai nostri studi proprio per questo motivo – spiega Andrea Sabatini, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’ambiente, responsabile del monitoraggio per l’Università di Cagliari – perché la vicina diga del Flumineddu impedisce l’arrivo di esemplari selvatici. Possiamo quindi studiare quelli che abbiamo rilasciato in un ambiente in cui non ci sono altre anguille: è un vantaggio notevole perché diventa più semplice e più rapido seguire gli esemplari senza che si confondano con altri”.

“L’obiettivo che abbiamo raggiunto finora – aggiunge il ricercatore – è stato valutare l’accrescimento di animali selvatici al termine di un periodo trascorso in un impianto di anguillicoltura e il loro tasso di mortalità una volta stabulati: ora vogliamo valutare le conseguenze del riadattamento degli animali una volta trasferiti dall’allevamento alla natura. Inoltre, attraverso la marcatura che abbiamo posizionato, siamo in grado di seguire sia il loro accrescimento in natura sia le migrazioni e i tassi di mortalità”.


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