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di Paolo Rapeanu
“Mi ha trattata come se fossi il diavolo in persona”. Sintetizza così i trentacinque minuti scarsi trascorsi nell’ufficio del parroco della chiesa di Gesù Divino Operaio. Una richiesta semplice, “il nullaosta per poter battezzare, in un’altra chiesa, la figlia di mia sorella”. Ma il prete avrebbe detto “no”. Perché? “Perché sono sposata con una donna, con tanto di matrimonio fatto con il rito cattolico ecumenico all’Arcigay di Napoli”, spiega Jessica Vargiolu, 36enne di Carbonia. Dal 2013 è sposata con Michela, di due anni più piccola. La loro famiglia, a quanto pare, per la Chiesa non si può considerare tale. Meglio, una richiesta come quella di essere la madrina di una neonata non può essere accolta. “Ho due figliocci con i quali mi vedo e che mi adorano, battezzati quando ero ancora single”, afferma la Vargiolu. “Ma anche in quel periodo della mia vita ero, ovviamente, lesbica”.
Promette battaglia, la 34enne: “Parlerò con un avvocato, andrò anche dal vescovo di Iglesias, voglio quel nullaosta, ormai è una questione di principio. Se le leggi della Chiesa sono queste, allora preferisco non farne parte. Però il mio problema è lo stesso dei divorziati e dei separati. Ho un mio credo”, dice, sicura, Jessica, “perché un prete della Chiesa cattolica deve vedermi come un diavolo e uno della Chiesa ecumenica, invece, mi apre le porte e addirittura, come accaduto cinque anni fa, celebra il mio matrimonio con Michela? Mi sento umiliata”.