Fabio Medda, osteopata e ballerino: “Così unisco break dance e ballo sardo in un’unica danza” (VIDEO)

 Fabio Medda, osteopata nella vita e ballerino di breakdance da oltre dieci anni, ha lanciato da tempo la sua sfida: unire la break dance e ballo sardo in un’unica innovativa danza. Due mondi in apparenza diversi e lontani, ma che lui prova ad avvicinare. Realtà e immaginazione vanno a braccetto con un finale curioso, il rimbrotto del padre pastore a quel giovane allevatore che anziché accudire il bestiame si mette a breakare. Guardate il VIDEO


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di Nicola Montisci

Ti aspetteresti una passione adolescenziale, una di quelle che arrivano nel bel mezzo della giovinezza e poi passano con l’andare dell’età. Invece non è così, perché la danza, il ballo, uniti all’amore per la Sardegna, poi diventano parte delle tue giornate, diventano pelle, vita e anche ferite.

 Fabio Medda, osteopata nella vita e ballerino di breakdance da oltre dieci anni, ha lanciato da tempo la sua sfida: unire la break dance e ballo sardo in un’unica innovativa danza. Due mondi in apparenza diversi e lontani, ma che lui prova ad avvicinare.

 Nuorese di nascita, villaputzese di adozione, ha iniziato questo progetto artistico senza timore, conscio della difficoltà di far abbracciare la cultura afroamericana con quella sarda e di andare oltre i pregiudizi: «Volevo propormi in modo diverso dagli altri ballerini, provando a trovare le connessioni tra questi mondi».

E così, dopo studi e allenamenti, ha presentato agli ultimi due Festival delle Launeddas, ospitati ogni estate a Villaputzu, un breakbeat innovativo, sia nel suono che nel movimento. Launeddas che si mischiano a un ritmo funky, ballu tundu modernizzato e rivitalizzato dalle gesta di un breaker che entra in scena vestito da pastore. Villaputzu, non a caso, è la patria dei maestri di launeddas che vivono la musica mantenendo la tradizione, ma anche sperimentando di continuo e proponendo nuove soluzioni.

 Fabio ha pubblicato già due video su youtube con gli arrangiamenti musicali di Tony Navarra. Due video come i messaggi che vuole mandare.  Nel primo (https://youtu.be/3RJM6mdU3Gk), girato vicino alla Torre di Porto Corallo a Villaputzu, dov’è nato il primo esperimento con le launeddas, il cajon, la trunfa (suonati da Gianfranco Mascia, Matteo Pisanu e Alessio Agus) usa la maschera tradizionale villaputzese. Obiettivo è comunicare che sia nella danza che nella vita reale viviamo il disagio nei confronti del giudizio ma dietro quella maschera non c’è nient’altro che te stesso, che alla fine è il peggior giudice.

Il secondo video (https://www.youtube.com/watch?v=XJkTutDDpDg), girato tra le pareti rocciose e la natura rigogliosa di Sa Maista, sempre vicino a Villaputzu, è nato grazie a un amico che lo ha spronato a continuare la ricerca ed è stato realizzato con la regia di Cladinè Curreli, Matteo Pispisa e Alberto Masala: «Qui rappresento ogni ballerino che vive con il corpo nel presente mentre la sua mente divaga nella danza».

Realtà e immaginazione vanno a braccetto con un finale curioso, il rimbrotto del padre pastore a quel giovane allevatore che anziché accudire il bestiame si mette a breakare. “I piedi qui e la testa che balla sempre” (“Is peisi innoi e sa conca sempri baddendi”)  dice l’anziano. E il giovane continua, continua, fino allo sfinimento, testardo più che mai, in un incrocio di movimenti e evoluzioni d’intesa perfetta col gruppo folk San Giorgio e Federica Loi.

 «Ho scoperto similitudini – afferma – tra ballo sardo e break dance. Nel ballu tundu il ballo a cerchio corrisponde per certi versi a quello che succede nella break. Anche nella danza sarda, poi, ci sono sfide, come in strada, ma in quel caso si conquista una sposa. È stato e continua a essere un esperimento con tante sorprese e innovazioni».

 L’amore di Fabio per il ballo nasce a tredici anni. Siamo all’inizio del nuovo Millennio, internet è ancora per pochi, le connessioni esterne rare. Ma in Sardegna, come sempre accade, e paradossalmente, c’è fermento. Inizia a incuriosirsi per le gesta di un ragazzo la cui famiglia si è appena trasferita nel Sarrabus. È Tony Navarra, che si allena proprio vicino al Comune di Villaputzu insieme ad altri ragazzi del paese: «Rimasi affascinato da cosa si potesse fare con il corpo a tempo con la musica. Non capivo come coordinassero braccia e gambe in base al ritmo. Iniziai a provare e riprovare, con tanto dolore fisico. A sedici anni cominciai a ballare con il cervello, a capire cosa stessi facendo, a personalizzare i movimenti». Poi gli infortuni, una costante. Più superava gli ostacoli, però, più migliorava la vita e l’autostima.

Il gruppo lo accoglie da subito. È il più giovane, ma con la fame di chi vuole assorbire i segreti e mettersi alla prova. Il nome d’arte è B-boy Polso, così lo chiamano per le dimensioni delle ossa del polso, poi diventato sempre più personale per via di numerosi infortuni proprio al polso sinistro, superati anche grazie agli amici mentori, che in una frase gli offrivano una strada da seguire: “Adegua i tuoi disagi fisici alla breakdance, trasforma in positivo il tuo dolore e sarai sempre al massimo”. E lui arriva a entrare, nel 2016, nei Sirbones, insieme a Roberto, Mirko e Nico, che compongono una crew di ballerini che si è fatta conoscere anche fuori dall’Isola.

 La break è cambiata negli anni, c’è sempre più preparazione fisica e workout. C’è studio e attenzione ai dettagli. Nasce come espressione sociale per evitare la violenza unendo gli stessi disagi e facendone valore comune, difficoltà collettiva e resistenza.  È una partita con i propri limiti: «Se sei in sfida – sottolinea Fabio – devi fare gli stessi movimenti dell’altro, possibilmente meglio. Poi ci sono movimenti e passi propri, skills speciali di ogni breaker, che lo distinguono». Il salto dalla break al ballo sardo richiede un grande sforzo di creatività.

 Ballo, amore, passioni. Si può (soprav)vivere con queste in Sardegna? Fabio ci prova. Vorrebbe forse dedicarsi totalmente al ballo, anche se la sua professione di osteopata lo ripaga: «Amo aiutare le persone. Ho scelto questo lavoro perché ho avuto tanti infortuni, è diventata una necessità personale che poi si è tradotta in sostegno ai disagi degli altri». C’è poi la quotidianità della sua scuola di danza a Villaputzu, l’insegnamento della breakdance e della cultura hiphop da trasmettere ai giovani, che continua ogni giorno. E la sua vita, il suo rapporto con l’isola, nonostante gli anni di studio a Roma e le possibilità del continente è diventato chiaro: «Più son andato lontano più ho capito la bellezza del posto dove vivo». Un posto che conosce nelle sue profondità, da quando ha cominciato a lavorare in campagna con lo zio, dall’infanzia fino ai vent’anni. Guadagnava qualcosa, dividendo la sua giornata tra ovile, studio e lavoro. Sacrifici che difficilmente i giovani compiono. Poi il tempo delle scelte e l’equilibrio attuale.

 Fabio non ha ansia di successo. Continua a pensare al gruppo di bambini di Villaputzu che lo aspettano ansiosi ogni sera tra le mura della palestra, ai suoi pazienti che confidano in lui e gli dedicano parole d’affetto e consigli (“Goditi la vita, non lavorare e basta”) e non si preoccupa più di dove arriverà con il ballo. Si allena ogni giorno con la stessa perseveranza del pastore che segue il suo pascolo, incurante del tempo e delle stagioni.

 Unire mondi diversissimi come quelli di break dance e ballo sardo è un gesto d’amore. Significa diminuire le distanze e unire le persone, anche diverse, attraverso un linguaggio comune, un codice condiviso. Il ballo e la musica, specie in Sardegna, possono fare davvero tanto.


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