Sulla morte di Casu ancora nessun colpevole.”Non si può morire legati”

La denuncia sulla vicenda dell’ambulante di Quartu morto nel 2006 dopo una settimana nel reparto di Psichiatria del Santissima Trinità, costretto a un trattamento sanitario obbligatorio


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Sulla strana morte di Giuseppe Casu ancora nessun colpevole. L’ambulante quartese di 60 anni morì nel reparto di Psichiatria del Santissima Trinità il 22 giugno del 2006, dopo sei giorni, sedato e legato a un letto dell’ospedale. Secondo l’Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica si tratta di “una morte avvenuta in condizioni inumane”.

 

L’ambulante venne trasferito di forza al reparto di psichiatria del Santissima Trinità dopo un’accesa protesta in piazza, a Quartu, contro la polizia municipale che voleva impedirgli di vendere le merci in un’area non autorizzata. Sedato e costretto a letto per una settimana su disposizione dei medici Giampaolo Turri e Maria Cantone, Giuseppe Casu morì il 22 giugno. Secondo Turri, e secondo l’autopsia condotta dal primario Antonio Maccioni la morte sarebbe stata causata da  un’imprevedibile tromboembolia, ma secondo i periti d’ufficio e di parte per l’uso di un farmaco sconsigliabile in quella situazione, l’ aloperidolo. Accusati di omicidio colposo Turri, la Cantone e gli altri medici di Is Mirrionis, sono stati tutti assolti in primo grado. Mentre Antonello Maccioni, anche lui assolto in primo grado, è stato condannato in appello a tre anni e tre mesi per aver sostituito i reperti anatomici di Casu.

 

“Esprimiamo sconcerto e preoccupazione per l’esito del processo d’appello sulla vicenda – scrivono in una nota Gisella Trincas dell’ASARP, e Natascia Casu, figlia dell’ambulante deceduto, e a capo del Comitato Verità e Gustizia –  Giuseppe Casu è morto in un servizio pubblico ospedaliero (SPDC di Cagliari), mentre si trovava da 6 giorni legato, in un letto, mani e piedi.

Ad oggi, non risulta alcun colpevole per la morte di un uomo di 60 anni che entra sano in un ospedale pubblico che avrebbe dovuto tutelare la sua vita e la sua salute.

La contenzione non è un atto medico, come recita l’art. 1 della Legge 180/78 “…possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione…”

La contenzione è una offesa alla dignità della persona che la subisce ed è sintomo di grave inefficacia ed inefficienza dei servizi che la adottano, come affermato all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo “…nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti…”

Noi non siamo giudici, siamo cittadini che usano o potranno usare i servizi di salute mentale e in questa veste un giudizio lo abbiamo emesso da tempo.

La città di Cagliari, e le sue istituzioni, non possono non interrogarsi su tali vicende, non possono ignorare la morte di un uomo in condizioni inumane.

La famiglia Casu continuerà a percorrere la strada giudiziaria, fino alla Cassazione e successivamente alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Si chiederà inoltre una audizione alla Commissione “Diritti Umani” del Senato.

La violazione dei diritti umani è questione che riguarda tutti i cittadini e tutte le organizzazioni, e richiede una precisa presa di posizione affinché nessuno possa più subire, in nessun luogo, trattamenti disumani e degradanti”.