Dramma nel carcere di Uta, detenuto di 41 anni si toglie la vita

Tragedia della disperazione a Uta: detenuto si impicca nella propria cella

“Rinunciare alla vita è una scelta dolorosa, disperata, spesso dissimulata e quindi  imprevedibile. Se avviene in una struttura penitenziaria purtroppo ne conferma l’inadeguatezza. Le Istituzioni non possono trascurarne il significato”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento al suicidio per impiccamento di un detenuto G.D.G., 41 anni, cagliaritano, avvenuto ieri nel primo pomeriggio intorno alle 15 nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta, evidenziando “lo sconforto tra gli operatori penitenziari, gli Agenti e il Personale sanitario della struttura”.

“Spesso si dimentica che la perdita della libertà – sottolinea – è una condizione particolarmente pesante che segna profondamente l’esistenza della persona con ripercussioni sulla solidità della propria identità. L’esclusione dalla vita familiare, dai figli, dalla comunità pesa particolarmente. La carcerazione fa emergere nascoste fragilità. Può rendere la persona irrequieta, irascibile, depressa, disperata. Chi deve pagare il debito con la società per un reato deve farlo in modo da vedere il proprio futuro migliore. Lo Stato deve essere presente pertanto in modo adeguato senza trascurare aspetti fondamentali che contemplano la sicurezza e la riabilitazione”.

“Ogni suicidio in carcere ha una storia a sé e spesso appare inspiegabile, tuttavia la responsabilità ricade sul sistema. La professionalità della Polizia Penitenziaria non può sempre scongiurare il peggio soprattutto quando difettano anche i numeri. La detenzione però deve diventare davvero l’extrema ratio e la vigilanza deve essere supportata da altre figure professionali competenti. Fermo restando che è indispensabile intervenire sulla rete sociale esterna per garantire un positivo ritorno nella libertà di quanti hanno sbagliato”.

“Non è, purtroppo, la prima volta che un detenuto nel carcere di Uta decide di togliersi la vita. E a correre i maggiori rischi sono le persone con problemi di tossicodipendenza (da sostanze stupefacenti ma anche da alcol e gioco d’azzardo). Persone che avrebbero bisogno di percorsi personalizzati considerando che tanti di loro fanno i conti con problemi sanitari (alcuni sono sieropositivi, altri sono affetti da epatite C). Detenuti, appunto, per i quali il ricorso alle misure alternative – conclude la presidente di SDR – dovrebbe diventare automatico”.


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